Il comune appartiene alla Comunità Montana della Valle Sabbia. Nella piana di Mocenigo, sono state ritrovate lame e raschiatoi di silice, probabile segno di insediamento preistorico. Si suppone che il nucleo dell’abitato di Vestone fosse, in epoca preromana, occupato dal villaggio-capitale degli Stoni, una delle tre popolazioni euganee secondo lo storico romano Plinio il Vecchio, chiamato appunto Stonos (da qui proverrebbe anche il moderno toponimo Vestone). Nel 118 a.C, durante la campagna di Quinto Marcio Re nella regione, Stonos viene conquistata dai Romani, anche se la zona, così come le sue popolazioni (gli Stoni e i Triumplini) non vennero assoggettate completamente fino al regno di Ottaviano Augusto. Di epoca romana, è la presenza nella frazione di Nozza di un altro insediamento, militare o civile del I secolo a.C..
La Rocca di Nozza fu edificata sopra una formazione rocciosa che crea una strettoia strategica nel passaggio verso sud. Risulta citata per la prima volta nel 1198, in qualità di prigione per sessanta nobili bresciani. Grazie alla presenza della Rocca, si formò sia un polo commerciale di passaggio sia un modesto agglomerato urbano dell’attuale frazione di Nozza, che risulta essere la parte più antica dell’odierno comune di Vestone.
Nel 1580, secondo la tradizione orale, durante la sua visita apostolica della Valle Sabbia, san Carlo Borromeo chiese di ampliare l’abitato di Promo verso il fondovalle allo scopo di unirlo all’abitato di Vestone. Nella chiesa romanica di San Lorenzo sono ancora conservati affreschi risalenti al 1533.
Nel 1797, a seguito dell’occupazione del bresciano da parte delle truppe dell’Armata d’Italia e l’istituzione della repubblica cisalpina, sia Nozza sia Vestone rimasero municipalità distinte e fecero parte del distretto delle Fucine con il primo paese in qualità di capoluogo.
Nel 1928 con regio decreto 3 agosto 1928, n. 1980, il comune di Nozza fu soppresso e il territorio fu aggregato a Vestone.
Anche a Vestone ci sono alcune famiglie di Tabarelli mentre altre presenze sono segnalate a Goito, Roverbella, Revere.
Famiglie Tabarelli a Vestone, inviate da Giovanni Tabarelli nel 1992
La Vobarno di oggi si sviluppa da un primitivo piccolo centro romano, posto sulla riva sinistra del fiumeChiese, dove si trova la chiesa parrocchiale; il vicus era il centro del pagus romano, una circoscrizione vasta quanto sarà nel Medioevo quella della pieve, e la plebs cristiana sostituisce il pago e ne assume le funzioni durante il tragico periodo delle invasioni barbariche (V–VI secolo).
Ignoto è il processo che portò alla costituzione della Vicinia, primo nucleo di quello che diventerà il comune di Vobarno. Tutti i documenti relativi sono stati distrutti in seguito al saccheggio operato nel 1526 dai Lanzichenecchi di Frundsberg, discesi dalle montagne della Degagna durante la loro spedizione culminata con il Sacco di Roma. È questo l’episodio più drammatico nel periodo compreso fra la dedizione a Venezia (1426), che porta all’inserimento di Vobarno nella Magnifica Patria in qualità di capoluogo della Quadra di Montagna, e la terribile pestilenza del 1630 che, a prestar fede alle fonti (Odorici e B. Faino, Coelum Sanctae Brixianae Ecclesiae), avrebbe ridotto la popolazione della metà (dai 1500 abitanti della metà del Cinquecento ai 750 della metà del Seicento).
La prima svolta della storia moderna vobarnese è costituita dall’arrivo nel 1797 dei francesi, guidati nella prima campagna d’Italia dal giovane generale Bonaparte, battuti alla Corona, nei pressi di Vobarno, dagli austriaci di Quosdanovich calati dal Trentino. L’anno di Campoformio vede non solo la fine della dominazione veneta, ma anche l’abolizione di tutti i privilegi che distinguevano le famiglie antiche originarie dagli immigrati successivi.
Consolidato il proprio dominio in seguito alla repressione delle insorgenze filoveneziane, i francesi inserirono i comuni di Vobarno, Teglie (riunito nel 1810 a Vobarno) e Degagna nel Dipartimento del Mella della Repubblica Cisalpina. A quell’epoca Vobarno avrebbe avuto 1300 abitanti e Degagna circa 640.
La scomparsa dello stabilimento Falck, ha aperto una fase tuttora in pieno sviluppo, che vede Vobarno notevolmente ampliata nella sua estensione (dal dopoguerra ad oggi la superficie edificata è cresciuta molto più della popolazione, a dimostrazione del diffondersi di un benessere frutto del sacrificio e del duro lavoro) e profondamente modificata nella sua popolazione, con massicce immigrazioni prima da altre località più o meno limitrofe, poi – a fine millennio – da altre nazioni europee e da altri continenti, e con il costituirsi di numerose comunità di origine esteuropea, araba ed africana.
Il simbolo del Comune, la pigna, è ispirato a un manufatto in marmo di origine romana rinvenuto in epoca medioevale nel campanile della chiesa di Santa Maria Assunta, rappresentante appunto una pigna di circa cinquanta centimetri di altezza. Il manufatto è oggi custodito nella Biblioteca comunale.
Oggi il territorio comunale è composto, oltre dal capoluogo da otto frazioni: Pompegnino, Collio, Degagna con Eno e Carvanno, Teglie e Moglia e Carpeneda.
Bolzano è situata a sud della Val d’Adige, in una stupenda conca e gode di un clima mite. Attorno si possono notare i vigneti del Renon e del Guncina, dai quali si ricavano vini rinomati e le stupende montagne del Catinaccio e del Latemar a nord e della Mendola a ovest. La città è attraversata dal fiume Isarco e dal suo affluente Talvera, mentre a sud passa il fiume Adige che proviene da Merano e scende verso Verona.
Gli abitanti di Bolzano costituiscono ca. il 20% della popolazione complessiva della provincia. Nella città di Bolzano si parlano le lingue italiana e tedesca.
Fra le cose notevoli da un punto di vista architettonico e artistico, meritano una visita il duomo, chiesa parrocchiale gotica (XIV sec.), il Palazzo Mercantile (XVIII sec.), la chiesa dei Francescani (ricostruita nel 1348).
Stemma
Bolzano possiede il suo stemma, unitamente all’istituzione del consiglio comunale, dal 1381, grazie a un privilegio conferito alla città da parte del duca Leopoldo III d’Austria: infatti, lo stemma è quello austriaco con i colori capovolti (bianco-rosso-bianco) e la stella a sei punte dorata al centro, presumibilmente un riferimento alla Madonna (“stella maris”) che è la patrona del duomo cittadino.
Presenza di Tabarelli
Diverse famiglie Tabarelli abitano a Bolzano (dagli elenchi telefonici ne risultano almeno 6) e si pensa siano di varia provenienza.
Citiamo alcune imprese e la Casa Tabarelli di Cornaiano (?)
Nella zona attorno a Laives non si erano insediati solo cavalieri prepotenti che esigevano le gabelle ad ogni passaggio, ma le bellezze e la fertilità della terra hanno fatto sì che principi e castellani scegliessero di dimorarvi, ed i monasteri vi coltivassero i loro vigneti. Sorsero così numerosi castelli e fortificazioni, in parte ancor oggi esistenti. Nonostante le paludi che fino a 140 anni fa ricoprivano la Valle dell’Adige, la regione si popolò ben presto, specialmente nelle zone circostanti.
Le prime notizie certe della località di Laives risalgono al 1189, quando per la prima volta viene citata in documenti ufficiali, di cui si ha menzione storica.
Come Comune autonomo, Laives appare per la prima volta soltanto nel 1819, e fino al 1948 era servito dal tram per la città di Bolzano. Situato com’è vicino alla città capoluogo, con l’offerta però di servizi residenziali più economici, Laives negli ultimi decenni ha attirato migliaia di residenti dai dintorni, con il conseguente rapido sviluppo da borgo agricolo a città satellite, con cospicui investimenti realizzati in infrastrutture necessarie alla crescita cittadina.
Nel 1985 Laives è stata insignita del titolo di “città” (Stadt), ed è quindi la più “giovane” città dell’Alto Adige. È il quarto centro urbano della Provincia per numero di abitanti, dopo Bolzano, Merano e Bressanone.
Appartenenza linguistica.
Gli abitanti di Laives, durante il censimento del 2011, si sono dichiarati per oltre due terzi di madrelingua italiana (71,50 %) e per meno di un terzo (27,99%) di madrelingua tedesca:
Lo stemma è costituito da una pila d’argento, con i lati ricurvi in campo azzurro ed una cappella posta su un monte rosso. L’insegna, simile a quella dei Conti di Liechtenstein che dimoravano nel castello sul monte Köfele, raffigura la chiesetta di Peterköfele. Lo stemma è stato adottato nel 1970.
La presenza di Tabarelli a Laives ha avuto origine il 15 novembre del 1906, quando due fratelli Tabarelli, figli di Bortolo (1823-1902): Teodoro Giovanni Carlo (*9.11.1863) e Pietro Giacomo (*28.6.1861) si trasferirono con le rispettive famiglie da Faedo a Laives, dando origine a numerose altre famiglie. Giovanni ebbe 8 figli, Pietro Giacomo 11 figli (diversi morti in tenera età), ma 3 (Luis, Vigilio, Espedito) hanno dato vita ad altrettante famiglie, tutte imparentate con la mia famiglia: erano cugini primi di mio papà Vittorio (1897-1976).
Tabarelli a Laives (Leifers) in provincia di Bolzano
Alcuni Tabarelli in questo paese provengono da Faedo. Due fratelli Teodoro Giovanni Carlo (1863-1934) e Pietro Giacomo (1861-1922), figli di Tabarelli Bortolo (1823-1902) si trasferiscono con le rispettive famiglie da Faedo a Laives, dando origine a diverse famiglie. Pietro Giacomo ha avuto 11 figli (diversi morti in tenera età), ma 3 (Luis, Vigilio, Espedito) hanno dato vita ad altrettante famiglie, tutte imparentate con la mia famiglia: erano cugini primi di mio papà Vittorio (1897-1976).
Nei pressi del paese la valle dell’Adige si restringe a circa 2–3 km, chiusa tra il Monte Alto (Geiersberg, 1.083 m) a est (direttamente a sud dell’abitato di Salorno) e il Monticello (Wiggerspitz, 1.857 m) a ovest sopra l’abitato di Roverè della Luna, già in provincia di Trento, formando la Chiusa di Salorno(Salurner Klause). La Chiusa è considerata tradizionalmente il confine tra area linguistica italiana e area linguistica tedesca in Val d’Adige, menzionata anche nell’inno tedesco.
Sulle pendici a est si trovano le frazioni Pochi (Buchholz) e Caurìa (Gfrill), confinanti con il comune di Faedo. A nord confina con Laghetti (Laag), frazione del comune di Egna, il cui centro dista circa 12 km. A nord-ovest, sull’altro lato del fiume Adige si trova Cortina sulla strada del vino, mentre direttamente a ovest (sempre sul lato opposto del fiume) si trova Roverè della Luna.
Salorno è uno dei cinque comuni della provincia ad avere una maggioranza di popolazione italofona. In buona parte non si tratta di discendenti delle immigrazioni organizzate dai governi italiani nel periodo 1919-1945, ma di gruppi di origine trentina che vivono nell’area da secoli. Nel censimento del 1921, due anni dopo l’annessione all’Italia, la popolazione si era dichiarata ancora di maggioranza tedesca. Al censimento del 2011 la maggioranza degli abitanti si è dichiarata appartenente al gruppo linguistico italiano.
A sud del paese, sul fianco della montagna, poggia su uno sperone appuntito la Haderburg, il castello di Salorno. Il castello risale al XIII secolo, dopo essere stato in uno stato grezzo, tra il 2001 e il 2003 il Barone Ernesto Rubin de Cervin Albrizzi, ovvero l’attuale proprietario, ha voluto effettuare un restauro del castello. Al suo interno vengono sporadicamente allestite delle mostre d’arte.
Lo stemma di Salorno è costituito da una pila azzurra, su sfondo argento, e da un capo azzurro. È l’insegna dei Signori di Graland che possedevano il villaggio nel XIII secolo. Lo stemma è stato adottato nel 1971. A Salorno sono presenti alcune famiglie di Tabarelli, (9 stando ai dati dell’elenco telefonico), provenienti in genere da Faver.
Fondata lungo un’ansa del fiume Adige, la città si trova in un punto di convergenza tra le vie di comunicazione che conducono dal Brennero alle Dolomiti, dal Lago di Garda a Venezia. La sua centralità geografica ha fatto sì che diventasse il centro politico, economico e culturale della provincia. Destinata ad essere cerniera tra il mondo germanico e mondo latino, conserva nei monumenti e nelle sue antiche tradizioni la sua storia, in una cornice naturale di incomparabile bellezza che la rende la città con uno dei più alti livelli di qualità della vita d’Italia.
Le origini del capoluogo risalgono all’epoca romana (I secolo A.C.) di cui la città custodisce bellissime testimonianze nel proprio sottosuolo.
Il nome di Trento, dal latino Tridentum, si fa risalire ai tre monti (Bondone, Calisio, Marzola) o ai tre colli (Sant’Agata, San Rocco, Verruca) che circondano la città, la cui disposizione suggerisce la forma di un tridente: ma si tratta di una leggenda. Trento era un importante snodo viario per la presenza nel suo territorio della Via Claudia Augusta, principale via militare verso nord. Invasa dai barbari, dopo il dominio longobardo entrò nella sfera di influenza germanica. Nel 1027 venne istituito il Principato vescovile di Trento, che durò fino al 1803. La città conobbe il suo periodo d’oro all’inizio del XVI secolo: tra il 1514 e il 1539 il Principato fu retto da Bernardo Cles, uomo politico, cardinale, studioso e mecenate, che si impegnò in una generale ristrutturazione della città in chiave rinascimentale, che caratterizza ancora oggi le strade del centro storico. Tra il 1545 e il 1563 Trento fu sede del Concilio che avviò la Controriforma. In quegli anni la città divenne una vera e propria capitale europea con corti e delegazioni da tutta la Cristianità. Negli anni a cavallo tra Settecento e Ottocento la città passò prima ai francesi e poi agli Asburgo. A metà dell’ottocento venne costruita la nuova ferrovia del Brennero che fece deviare il fiume Adige nell’attuale corso. Trento divenne italiana solo dopo la prima guerra mondiale (1918). Nel 1947 l’Assemblea costituente istituì la Regione autonoma a statuto speciale Trentino-Alto Adige. Oggi, capoluogo amministrativo, sede di università e istituti di ricerca, ricca di iniziative culturali e spettacoli, Trento è “destinazione turistica culturale di frontiera”, ponte tra l’Italia e l’Europa, tra tradizione e innovazione.
Nessun avvenimento storico ha segnato tanto profondamente l’identità civica di Trento quanto il XIX Concilio Ecumenico, indetto dalla Chiesa di Roma il 13 dicembre 1545 e conclusosi solennemente, dopo due interruzioni e alterne vicende, il 4 dicembre 1563. Trento era stata scelta come sede conciliare già nella bolla di indizione del 1542, quando papa Paolo III la definì “sito comodo, libero e a tutte le Nazioni opportuno”.
La sua posizione geografica la rendeva infatti un ideale ponte tra l’Italia e il mondo tedesco, mentre il suo peculiare statuto politico – una città governata da un vescovo vassallo dell’imperatore – offriva garanzie sia al Papato sia all’Impero. La straordinaria assise, che negli auspici doveva tentare di riconciliare le Chiese riformate di Germania con la Santa Sede, si concluse, in questo senso, con un nulla di fatto, ma condusse a una profonda riforma interna della Chiesa cattolica. Per almeno due secoli i decreti tridentini esercitarono un’influenza decisiva non solo sulla vita religiosa, ma anche sulla cultura e su molti aspetti del vivere civile dell’Europa cattolica. Durante i lavori conciliari, diluiti nell’arco di diciotto anni, Trento ospitò 284 prelati e numerosi altri delegati provenienti da diverse nazioni, assumendo di fatto il ruolo di capitale del cattolicesimo e di crocevia della politica europea. Nel terzo periodo del Concilio, quello conclusivo, a Trento erano presenti ambasciatori di dodici Stati. Per far fronte a questo compito la città, che all’epoca contava meno di diecimila abitanti, fu mobilitata a tutti i livelli, sotto l’abile guida del principe vescovo Cristoforo Madruzzo. Cardinali, vescovi, generali di ordini, teologi e ambasciatori, spesso accompagnati da folto seguito, furono ospitati nei principali palazzi, nei conventi e nelle locande, mentre le sessioni conciliari si tennero nella Chiesa di Santa Maria Maggiore e nella Cattedrale di San Vigilio.
Stemma
Lo stemma del Comune di Trento raffigura un’aquila spiegata di nero, rostrata, armata e munita sulle ali di due gambi trifogliati d’oro, linguata e cosparsa di fiammelle di rosso come descritto nel Decreto di riconoscimento del 6 maggio 1930. L’aquila di San Venceslao, è lo stemma ufficiale di Trento. Nel 1336, Carlo di Boemia figlio maggiore del re Giovanni di Lussemburgo, si era insediato nel castello di Tirolo quale reggente in vece del fratello minore che nel 1330 si era sposato con Margherita di Maultasch, contessa di Tirolo. Carlo di Boemia aveva portato con sé il cancelliere Nicolò da Bruna che nel 1338, grazie all’influente appoggio di re Giovanni, venne nominato vescovo di Trento. In questo modo fu possibile alla Casa di Boemia assicurarsi la completa fedeltà e sottomissione del Principato trentino. Il 9 agosto 1339, per ricompensare il principe vescovo dell’amicizia sempre dimostratagli, re Giovanni volle concedere, a Nicolò ed ai suoi successori sulla cattedra di San Vigilio, lo stemma di San Venceslao.
Presenza dei Tabarelli
I Tabarelli residenti a Trento provengono principalmente dal ramo di Vigolo Vattaro. A questo ramo si deve la ricostruzione (inizio a cavallo tra il 1400 e il 1500, fine nella seconda metà del 1700) del palazzo Tabarelli di Via Oss Mazurana di Trento, oggi sede di una banca. Allo stesso l’abbellimento e l’ampliamento del Castello di Vigolo. Castello che, ridotto ad una completa rovina, è stato da me rilevato trant’anni or sono e completamente restaurato.
Attualmente risultano a Trento, dagli elenchi telefonici, 32 nominativi di Tabarelli.
Tassullo (Tassùl in noneso) è stato un comune italiano di 1.942 abitanti della provincia di Trento, è un centro abitato sparso, costituito dalle cosiddette “Quattro Ville”, e cioè le frazioni di Campo, Rallo, Pavillo e Sanzenone, ognuna con una chiesetta e più palazzi di pregio. Dal 1º gennaio 2016, a seguito della fusione con i comuni di Nanno e Tuenno, il comune di Tassullo è stato soppresso per l’istituzione del comune di Ville d’Anaunia I paesi si distendono sui terrazzi verdi che sovrastano la sponda destra del torrente Noce e, a valle, lo sbarramento del lago di Santa Giustina. Tassullo è circondato da colline ricoperte di frutteti.
Storicamente possesso del Vescovo di Trento (nel 1207), Tassullo è passato successivamente agli Appiano, ai Conti del Tirolo e agli Spaur. Nelle vicinanze si trova l’imponente Castel Valer, con la bella originale torre ottagonale attorno alla quale furono erette, nel corso dei secoli, abitazioni civili secondo l´architettura dell´epoca (fra 1400 e 1600). Panoramico e imperioso sulla Valle di Non lungo una antica strada romana, appare tra i meglio conservati sul territorio. Attualmente il castello è residenza privata dei conti Spaur e non si può visitare.
Sulla piazza sorge Palazzo Pilati, sede municipale, con il caratteristico pozzo e nell’atrio la pietra tombale della famiglia Pilati. All’esterno è visibile la lapide dedicata a Carlo Pinamonti di Rallo e al fratello Gioseffo, i quali nel 1852 realizzarono il primo grande acquedotto irriguo della Val di Non. Lungo la strada che va a Nanno è da visitare la chiesetta di S. Vigilio, risalente al 1495.
Notevole è la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, ricordata già nel 1101. Lungo la strada che porta a Nanno merita una visita l’antichissima chiesetta di S. Vigilio che conservava un tempo un meraviglioso altare ligneo, custodito oggi presso il Museo Diocesano di Trento, datato 5 aprile 1520. La forma è di trittico gotico a due portelle mobili recanti varie raffigurazioni di Santi. Sul retro sono dipinte le simbologie della Passione e lo stemma Tabarelli di Fatis. L’altare è arricchito di statue: al centro quella della Madonna con due pinnacoli dell’Annunciazione; ai lati due piccole statue di San Vigilio e San Fabiano.
La famiglia Tabarelli de Fatis che aveva origine da Terlago, si era suddivisa in quattro rami, uno dei quali è andato a Tassullo (Val di Non), dove ancora oggi esistono una mezza dozzina di famiglie che portano il nome di Tabarelli.
Faedo (Faé in dialetto trentino, Vaid (Pfaid) o Welsch Vaid in tedesco) è un comune italiano di 622 abitanti della Provincia Autonoma di Trento. Il comune di Faedo è stato soppresso il 1° gennaio 2020 per essere incorporato nel comune di San Michele all’Adige, una delle ventinove fusioni di comuni in Trentino-Alto Adige.
Questo piccolo paese possiede la tipica immagine dell’antico borgo, regolata soprattutto dalle due chiese (Redentore del 1902 e S. agata del 1200) e dal castello (presenti sul territorio.
Importante centro minerario nel tardo medioevo, di cui si hanno cenni a partire dal 1185, quando con apposito atto furono ceduti i diritti dai conti del Tirolo al Principato Vescovile di Trento e proseguì più o meno a fasi alterne fino al 1777. Negli ultimi tempi era ritornato sotto il controllo diretto dalla giurisdizione di Königsberg. Per un certo periodo fu anche sede di un tribunale minerario. Il nome deriva da faggio per i molti boschi di faggi presenti nel territorio.
La lunga storia del paese è raffigurata al meglio dal Castel Monreale, noto anche come “Königsberg”, al cui posto già in periodo romano fu edificata una rocca. L’attuale castello è del 1243. Le lotte tra popoli germanici e romani nel primo secolo, gli insediamenti longobardi e bavaresi del primo medioevo, e la colonizzazione con i masi del tardo medioevo hanno preceduto la crescita del borgo sulla Via Claudia Augusta.
Il panorama che si può godere dai 600 metri di altitudine di Faedo è indimenticabile: di fronte la Paganella e i monti di Mezzocorona; poi le Dolomiti di Brenta, col Campanil Basso e Cima Tosa; in basso la Piana Rotaliana con l’apertura verso la Val di Non.
È l’invidiabile posizione collinare poco sopra la Val d’Adige che ha contribuito alla storica importanza del paese di Faedo, la stessa che oggi lo rende particolare rispetto ai comuni del fondovalle e apprezzato tra chi ama rilassarsi o fare delle tranquille passeggiate in mezzo al verde.
Confina con i comuni di: Mezzocorona, San Michele all’Adige e Giovo della provincia di Trento, ma anche con Salorno, primo paese della provincia di Bolzano. Nel dialetto locale si notano alcuni termini derivati dal tedesco.
Trai i vari cognomi è presente anche il cognome Tabarelli di diverse famiglie originarie da Faver e da Cembra. Da qui ha origine anche la mia famiglia, punto di partenza per le mie ricerche genealogiche. Alcuni cugini di mio padre, due fratelli si sono trasferiti nel 1906 a Laives dando inizio ad altre famiglie di Tabarelli. Altre famiglie si sono estinte. Nel cimitero ho trovato la lapide di Alessandro Tabarelli + nel 1928 che risulta appartenente alla famiglia Tabarelli de Fatis.
Incontro della famiglia Tabarelli di Faedo nel 2011
Nel 1928 Cembra aveva aggregato i territori dei soppressi comuni di Faver e Lisignago; ma nel 1952 questi territori si erano distaccati per ricostituire nuovamente i comuni di Faver e Lisignago. Il comune di Cembra soppresso il 31 dicembre 2015, dal 1. Gennaio 2016 costituisce, mediante fusione con il comune di Lisignago, il nuovo comune di Cembra Lisignago.
Il toponimo “Cembra” è attestato per la prima volta come Fagitara Cimbra in un documento di Paolo Diacono, che la cita come uno dei castelli distrutti dai Franchi nel 590; successivamente appare come Cimbria, Cymbra e, nel 1406, Zymer.
L’area venne invasa dai Franchi nell’Alto Medioevo, i quali, come riporta Paolo Diacono, distrussero il “castello di Cimbra” (la prima attestazione storica del nome). Successivamente il paese entrò a far parte di un feudo appartenente al principato vescovile di Trento, e amministrato dai signori di Salorno, gli Appiano. La sovranità sul feudo venne usurpata da Mainardo II, conte del Tirolo: sotto di lui, dapprima Cembra subentrò a Lisignago come sede giurisdizionale, quindi l’intera giurisdizione venne accorpata a quella di Königsberg.
Quando le guerre napoleoniche interessarono la valle, Cembra fu coinvolta direttamente; il paese subì danni materiali agli edifici e ai prati e requisizioni di legname e di cibarie, e si ebbero inoltre diversi decessi per tifo esantematico. Il 20 marzo 1797, mentre 2500 soldati croati dell’impero austro-ungarico erano ivi stanziati, le forze francesi attaccarono, dalla sponda sinistra dell’Avisio, Cembra e gli altri insediamenti della sponda destra, causando ingenti danni (la vicina Faver, ad esempio, fu completamente distrutta). Sortite francesi continuarono anche gli anni seguenti, fino almeno al 1801.
«Catastrofe per Cembra e per tutta la Pieve non fu mai per l’addietro avvenuta e che per mercè della Divina Misericordia speriamo che mai più sarà per succedere.»
(L’allora parroco di Cembra, tal don Pecoretti, lamentando i danni causati da “codesti umanissimi francesi” durante la battaglia del 1797)
Il paese si dedica con passione alla viticoltura sulle impervie e tipiche terrazze della valle. La cantina di montagna è la cantina più alta del Trentino, (700 m s.l.m.). Nata nel 1952 per iniziativa di alcuni viticoltori, oggi ne annovera circa 400. Cembra è incastonata nel più importante bacino europeo di porfido, l’oro rosso dei valligiani, una roccia che conferisce ai vini una sapidità e persistenza straordinaria.
Dal vicino paese di Faver provengono diverse famiglie di Tabarelli presenti anche attualmente a Cembra.
Il paese è tradizionalmente diviso in due rioni: Còrt e Vich, ciascuno dotato di una fontana e una piazza. I due rioni erano divisi da una frona, che costituiva anche il confine di giurisdizione. Vich era amministrato dai signori del Castello di Segonzano e Cort dai signori di Monreale (Königsberg).
In Piazza da Vich sorge la casa Tabarelli de Fatis, un fabbricato che è stato rimaneggiato nel 1869 ed è detto il “Castello” e comprende un’ampia corte.
Nel passato vi fu una forte emigrazione, soprattutto verso le miniere del Belgio. Fino agli anni 30 dominava l´industria del baco da seta, che autorevolmente si affiancava alla viticoltura. Ora Faver è centro vitivinicolo e ortofrutticolo, sede di attività artigianali e commerciali legate allo sfruttamento del legname proveniente dai vicini boschi.
I cognomi a Faver più usati sono: Paolazzi, Telch, Nardin, Tabarelli. Qui, infatti, si è insediato uno dei rami della famiglia Tabarelli de Fatis. Attualmente vengono segnalate qui almeno 12 famiglie di Tabarelli. Alcuni Tabarelli di questo paese sono emigrati in Brasile nei primi decenni del secolo scorso. Altri Tabarelli, provenienti da Faver, si sono insediati anche a Faedo e Salorno.